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Diplomatic Documents of Switzerland, vol. 1991, doc. 37
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Archive | Swiss Federal Archives, Bern | |
▼ ▶ Archival classification | CH-BAR#E2010A#2001/161#1150* | |
Old classification | CH-BAR 5 | |
Dossier title | Europäische Begegnungen, Band 5 (1991–1991) | |
File reference archive | A.25.13.331.2 |
Archive | Swiss Federal Archives, Bern | |
Archival classification | CH-BAR#E3805#1999/332#27* | |
Dossier title | Ansprachen, Reden und Referate (Conerenze approvate e tenute, September 1991-Juni 1992) (1991–1992) | |
File reference archive | 07 |
dodis.ch/57668
La Svizzera in Europa. Allocuzione in occasione della Giornata dell’Europa
A nessuno sfugge l’aspetto altamente simbolico dei contenuti di questa parte finale iniziata in settembre, dei festeggiamenti per i 700 anni della Confederazione svizzera.2 Il Presidente della Confederazione è chiamato a parlare oggi qui a Sils, alla Giornata dell’Europa.3 Egli guarda inoltre con gioia all’onore che gli sarà fra breve riservato di intervenire come ospite ufficiale dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo4 e di inaugurare a Bruges la cerimonia d’apertura dell’anno accademico 1991/1992 del Collegio d’Europa.5
La parte conclusiva dei festeggiamenti è dunque largamente dedicata all’Europa. È bene che così sia. Non c’è dubbio infatti che il futuro anche della Svizzera dipenderà in misura essenziale dagli sviluppi che essa saprà e potrà dare entro tempi appropriati alle sue relazioni con il nostro continente che si unisce.
Se chiedessimo allo Svizzero medio cosa sia per lui l’Europa, la risposta sarebbe più semplice di quanto forse immaginiamo. L’Europa sono le terre che ci circondano, le pianure verso le quali defluiscono i nostri fiumi, le città vicine ed amiche che ci accolgono non appena abbiamo varcato le nostre ristrette frontiere; l’Europa è una parte di noi stessi, e noi siamo parte di essa. Così è sempre stato. Così sarà sempre. Lo Svizzero è europeo perchè così vogliono geografia, natura e cultura; parla le stesse lingue, la tedesca, la francese, l’italiana, la minacciata romancia, dei suoi grandi paesi vicini dalle affascinanti culture cui pure la Svizzera si richiama. La comprensione è facile e rapida, perché è fondata su una lunga storia comune. Scorre nel sangue dello Svizzero il ricordo del ruolo europeo svolto dai suoi padri. Il ruolo dei cantoni più antichi ad esempio nelle campagne di Borgogna fino a Grandson e a Morat. Non dimenticano molti Svizzeri francesi che quel ruolo fu la premessa del loro elvetico destino. Altri evocano Pavia, Novara o Marignano, ove analoghe conseguenze si produssero per lo Svizzero italiano. Non dimentica lo Svizzero l’impatto che l’Europa, attraverso la rivoluzione francese vincitrice, ebbe sulle sue antiquate strutture. Egli è ben cosciente che senza la volontà degli Europei al Congresso di Vienna la Svizzera non sarebbe divenuta quello che oggi è.
In una parola, la Svizzera appartiene a questo continente che ha creato più di ogni altro – attraverso gli sviluppi della tecnica, ma soprattutto attraverso i diritti dell’uomo, le libertà moderne e la democrazia – le premesse dell’attuale civiltà. E lo Svizzero è fiero di tutto questo.
Ma lo Svizzero non ignora che questo suo stesso continente, se sviluppò, maturò e crebbe come nessun altro i valori della cristiana carità e delle libertà, questi valori pure più di ogni altro violò e tradì. Paradosso drammatico e insondabile! L’Europa di Tommaso Moro e di San Francesco, l’Europa di Rousseau e di Schiller, è la stessa Europa che ha generato le guerre più atroci, lo sfruttamento coloniale, la barbarie nazifascista e comunista. Le espressioni più recenti di queste usurpazioni furono vissute nei polsi e nelle vene da molti Svizzeri oggi appartenenti alle generazioni più anziane. Essi si sentirono minacciati dall’Europa, dalla loro Europa. Quelle neppure molto antiche paure concorrono così a rendere talvolta ancora discordanti e contradditori i sentimenti dello Svizzero medio verso l’Europa che lo circonda. Senso d’appartenenza ammirata e convinta da una parte, atavici sospetti dall’altra sono il retaggio complesso della storia. Noi sappiamo quanto profonde sono le radici della storia, radici sovente impalpabili e forse perfino inconsce, ma profondamente impresse nell’animo degli uomini.
Ma la storia si muove e non si ripete. Così l’Europa vive in questa fine del suo più tormentato millennio una nuova e meravigliosa esperienza. L’Europa delle guerre, delle dittature e della sopraffazione, l’Europa degli Stati in perenne conflitto, sta cedendo il passo ad un inusitato quadro fondato sulla pace, sulla democrazia e sulla libertà. Certo, devono essere evitate le interpretazioni trionfalistiche o tinte soltanto di rosa. La strada, ad esempio, degli Europei che non ebbero mai la ventura di conoscere la democrazia è ancora irta d’ostacoli; ma essa è pur ricca di formidabili progressi come gli eventi storici di questi giorni in Unione Sovietica dimostrano;6 l’esigenza essenziale di tutela e di garanzia per ogni nazionalità e per ogni cultura – esigenza che oggi potremmo riunire in un solo concetto, quello della difesa e della promozione delle minoranze, è lungi dall’essere integralmente soddisfatta. I drammi della Jugoslavia e lo scarso esito della recente Riunione di esperti sulle minoranze nazionali di Ginevra,7 ove furono evidenziate molte sorprendenti insensibilità per questi temi, testimoniano del lungo cammino che rimane da percorrere. Taluno paventa persino l’affermazione un giorno di nuove potenze egemoniche sul continente, che potrebbero divenire come nel passato fonte di potenziale e grave pericolo.
Signore e signori, nessuno può naturalmente abbandonarsi ai sogni o alle utopie. Nella società degli uomini, ove le contraddizioni ed i limiti ogni singolo avverte in primo luogo nell’animo proprio, le tensioni, i conflitti, non saranno mai completamente banditi. Ma noi crediamo, aldilà di questa elementare verità, che un’Europa veramente unita nella libertà e nella pace (e speriamo pure nella solidarietà interna ed internazionale e nel rispetto della natura) rappresenterà il garante principale, perchè le fonti potenziali di nuovi conflitti siano circostritte, controllate e neutralizzate.
La novità storica straordinaria ha conseguenze fondamentali anche per la Svizzera. Esse si riassumono in un imperativo categorico. Le nostre relazioni con la nuova Europa devono superare la visione antica del prudente bilaterale vantaggio economico fondato sul libero scambio.8 È compito della nostra generazione di collocare queste relazioni su di un piano più elevato, su di un piano veramente istituzionale, che permetta alla Svizzera di partecipare largamente al processo – che non sarà breve – verso il nuovo assetto europeo del millennio che batte alle nostre porte.9
Il Consiglio Federale non ha dubbi circa questo imperativo categorico, che esige la modifica sostanziale di una più che trentennale politica di cautela e di talvolta persino scettico riserbo.10 Ma la sfida è indirizzata anche al Parlamento, è indirizzata soprattuto a voi, care concittadine e cari concittadini. Perché è utile ricordare a noi stessi ed agli amici europei: come nei tempi passati della minaccia un popolo intero corse a proteggere le frontiere, così anche oggi la voce pacifica e democratica della nuova Europa interpella la responsabilità diretta di tutto un popolo. Esso solo pronuncerà un giorno la decisione definitiva. È compito fondamentale delle autorità politiche tenere conto di questa circostanza. Io vi assicuro, qui da Sils, concittadine e concittadini, che tutto sarà messo in atto perchè il nostro processo di avvicinamento all’Europa avvenga in un clima di costante e attivo dialogo, con tutte e tutti voi, con la popolazione tutta intera.
Concittadine e concittadini, io vi esorto dunque all’Europa!
Ma quale sarà la via elvetica verso l’Europa?
La strada verso l’Europa dovrà essere comunque la più razionale e meditata possibile.
Vanno evitati gli ingenui entusiasmi generosi; mai sono stati utili consiglieri ad una politica che metta decisamente al primo posto il rapido raggiungimento dell’obbiettivo dichiarato. Gli ingenui entusiasmi sono perniciosi alla causa, oserei dire, tanto quanto le opposizioni emozionali che ancora corrono nell’animo di alcuni. Occorre diffidare dalle fughe in avanti che sono sovente la tentazione di chi, scettico o contrario fino a ieri, oggi vede l’Europa con rassegnazione, quasi come un’inevitabile fatalità ormai disegnata nelle stelle. Non esiste nessun determinismo storico che incanali ineluttabilmente la strada della Svizzera verso l’Europa! Questa strada sarà unicamente il frutto della nostra percezione storica razionale, delle nostre comuni volontà, insomma delle nostre convinzioni profonde. Il nostro aggancio all’Europa non sarà mai il frutto di individualistiche risoluzioni. L’alternativa è chiarissima: O la via verso l’Europa sarà il prodotto della riflessione, dei consapevoli comuni intenti delle pubbliche autorità, federali, cantonali e locali, e del popolo sovrano riuniti; oppure essa, ancora per lunghi anni, non sarà – e rimarrà al massimo oggetto di interminabili e sterili dibattiti.
La comune volontà dovrà formarsi tenendo conto di almeno tre fondamentali norme di comportamento: la fin troppo perfezionistica mentalità elvetica, per rispettarle, dovrà probabilmente sottoporsi a vigorosi adattamenti:
a) L’approccio europeo esige una visione organica e globale che esclude le obiezioni minute, particolaristiche del pizzicagnolo. Ogni armonizzazione comporta, sull’altare di più elevati interessi, compromessi, rinunce, disponibilità a modificare antiche e magari pure significative conquiste. Datori di lavoro e prenditori d’opera, agricoltori ed ecologisti, addetti alla politica sociale, ai trasporti, alla salute: in ultima analisi ogni Svizzera ed ogni Svizzero devono sapere che non sarà possibile salvaguardare posizioni anche degnissime, ma settoriali – e nel contempo partecipare all’Europa!Si11
Così ad esempio non mi pare neppure pensabile di mettere in gioco l’accordo eventuale sullo SEE per qualche divergenza finanziaria circa la dotazione del fondo di coesione12 (al contrario, la solidarietà che desideriamo fermamente come caratteristica essenziale della futura Europa chiama a questo proposito i paesi ricchi, quorum Helvetia!, a particolare apertura).
b) L’approccio europeo esige però grande chiarezza e sincerità cristallina quando sono in gioco gli elementi fondamentali che toccano quella che definirei la nostra filosofia comune della futura Europa.
Quando è in gioco ad esempio la crescita irrinunciabile della democrazia, della funzione parlamentare e della partecipazione popolare più ampia possibile contro ogni tipo di situazione pre-democratica o di deformazione burocratica; quando sono in gioco la decentralizzazione, il federalismo, i diritti dei piccoli e delle minoranze. Quando sono in palio l’uguaglianza elementare fra i paesi e quindi la loro dignità, come mi sembra il caso degli aspetti istituzionali dello SEE, che sono ben lungi dal soddisfarci,13 allora il discorso va condotto con ogni possibile trasparenza. Perchè nessun equivoco è lecito attorno ai valori che rappresentano la ragione stessa della nuova Europa.
c) Aggiungerò che il dibattito attorno a questi valori coinvolge in modo particolarmente intenso la Svizzera. I nostri oggettivi e in parte i colpevoli ritardi europei devono indurci oggi senza dubbio ad atteggiamenti di particolare modestia. Ma questa opportuna modestia non giustificherà mai la remissività o addirittura l’abbandono quando si tratta di esprimere senza riserve la nostra visione dei valori fondamentali.
Un paese che si regge sulle sottili e affinate forme della democrazia diretta, un paese molto avanti nella pratica della sussidiarietà del federalismo, e certamente esemplare nel rispetto delle minoranze, anche delle più piccole, ha l’obbligo morale di testimoniare le proprie esperienze. Farà tutto ciò senza alcuna presunzione, con l’umilità piuttosto che nasce dalle convinzioni e dalla pratica che le incarna.
Non è impossibile oggi affrontare i temi particolari dell’ampio dialogo in corso. Mi basterà dire che indipendentemente dalle trattative sullo spazio economico europeo e dalle decisioni che il Consiglio Federale assumerà, il discorso andrà comunque ripreso attorno all’intero problema delle relazioni della Svizzera con la CEE.14
L’attrattività che sembra divenire sempre più scarsa dell’eventuale SEE e le fortemente mutate circostanze dell’assetto continentale devono spingerci ad affrontare nuovamente il quesito delle altre vie aperte verso l’Europa.15 Soprattutto il tema dell’adesione alla CEE va riconsiderato, ristudiate vanno le ragioni che in proposito ancora pochi anni or sono ci spinsero ad una risposta negativa. Senza voler pregiudicare in alcun modo l’esito del riesame, mi premeva oggi segnalare la necessità di procedere allo stesso, e la volontà del Consiglio Federale di operare in questo senso nei termini più brevi possibili.16
Oggi sappiamo infine che l’unità europea non si limita più agli spazi ristretti che un crudele dopoguerra soli consentì. Oggi è finalmente possibile al nostro sguardo abbracciare l’intera e più grande nostra Europa, la vera, completa Europa dall’Atlantico agli Urali. La geometria futura dell’Europa finalmente libera è tuttora assolutamente imprevedibile. Certo è però che nessuno Stato, nessuna comunità di Stati può pretendere di possedere il monopolio del continente. Il lavoro comune di questi anni, sarà decisivo ai fini di questo assetto e di questa geometria. Essi usciranno tanto più stabili da questo irripetibile periodo storico, quanto più saremo riusciti a trovare il difficile, ma indispensabile equilibrio fra la sostanziale unità nella pace e della democrazia ed una vasta irrinunciabile decentralizzazione che dia importanza, come fermamente auspica la Svizzera, alle differenze e alle diversità, non al potere ed all’egemonia.
Concittadine e concittadini, signore e signori, è questo il messaggio affascinante che risuona oggi su queste alte terre d’incontro fra diverse culture chiamate Engadina.
È l’appello, imperativo, per la Svizzera ad assumere la sua natura europea fino nell’ordine giuridico ed istituzionale.
È l’invito alla Svizzera perché abbia a compiere questo storico passaggio, senza precipitazione e senza fughe in avanti, con tutto l’approfondimento che il momento storico straordinario esige, e con la sincerità senza ombre che è richiesta dalla nostra idea dell’Europa, democratica e pacifica, solidale ed ecologica.17
- 1
- CH-BAR#E2010A#2001/161#1150* (A.25.13.331.2). Il discorso venne pronunciato dal Capo del DFI, il Presidente della Confederazione Flavio Cotti, a Sils Maria il 7 settembre 1991 durante la Giornata dell’Europa. Il discorso fu molto probabilmente il prodotto finale di diverse versioni che il Presidente preparò insieme ai suoi stretti collaboratori e confidenti. Lo storico Urs Altermatt fu un consigliere particolarmente coinvolto nella redazione dei discorsi per il Presidente Cotti durante il suo anno di presidenza. Il Presidente Cotti si espresse in italiano davanti al Consiglio federale in corpore e ad un'a assemblea di quasi 1200 ospiti svizzeri e stranieri. Per i documenti preparatori della Giornata dell’Europa, cf. la compilazione dodis.ch/C2081 o sulla Giornata dell’Europa in generale, cf. dodis.ch/C1921. Per la compilazione tematica sul 700o anniversario della Confederazione (1991), nel cui contesto si svolse la Giornata, cf. dodis.ch/T1830.↩
- 2
- Sul programma e i festeggiamenti durante tutto l’anno 1991, cf. la compilazione tematica 700o anniversario della Confederazione, dodis.ch/T1830.↩
- 3
- Durante la Giornata intervennero anche il filosofo tedesco Carl Friedrich von Weizäcker, il rettore dell’Università Bocconi di Milano Mario Monti, la rappresentante del Governo francese Élisabeth Guigou, l’ungherese Szilvia Ritz in rappresentanza della manifestazione giovanile Spiert Aviert (cf. la nota 12, DDS 1991, doc. 43, dodis.ch/58000), e il Vicepresidente lituano Bronislavas Kuzmickas.↩
- 4
- Cf. dodis.ch/60110.↩
- 5
- Cf. dodis.ch/60109.↩
- 6
- A proposito del putsch del 19–21 agosto 1991 a Mosca, cf. DDS 1991, doc. 34, dodis.ch/54827, come pure la compilazione dodis.ch/C1951.↩
- 7
- Cf. DDS 1991, doc. 50, dodis.ch/58114, come pure la compilazione dodis.ch/C1875.↩
- 8
- La Svizzera fu infatti favorevole ad accordi di natura economica con le Comunità europee negli anni 1970, cf. DDS, vol. 25, doc. 25, dodis.ch/35772; doc. 44, dodis.ch/35774; doc. 108, dodis.ch/35775; doc. 160, dodis.ch/35778. Durante gli anni 1980, divenne sempre più evidente che tali accordi non fossero più sufficienti nonché sempre più complessi da negoziare, cf. la compilazione tematica Conferenza del Lussemburgo e seguito, dodis.ch/T2063.↩
- 9
- Cf. il rapporto del Consiglio federale sulla posizione della Svizzera nel processo d’integrazione europea del 24 agosto 1988, dodis.ch/59646.↩
- 10
- Infatti, dal 1989, il Consiglio federale stava negoziando, come membro dell’AELS, l’accordo sullo Spazio economico europeo (SEE) con la CE, cf. la compilazione tematica Negoziazioni AELS-CEE sull’accordo SEE, dodis.ch/T1713.↩
- 11
- Si tratta di un riferimento diretto ai punti che furono più dibattuti nei negoziati dello SEE. Per gli aspetti considerati come insufficienti dal Presidente Cotti e dal Consiglio federale, cf. DDS 1991, doc. 9, dodis.ch/57510; doc. 13, dodis.ch/57331; doc. 20, dodis.ch/57748; come pure la lettera del Presidente Cotti al Consigliere federale Capo del DFEP Jean-Pascal Delamuraz del 5 agosto 1991, dodis.ch/59790.↩
- 12
- Il fondo di coesione richiesto dalla CE era un meccanismo finanziario attraverso il quale gli Stati membri dell'AELS avrebbero dovuto pagare un importo destinato ai paesi più poveri della CE (Spagna, Portogallo, Grecia), cf. la compilazione dodis.ch/C2005.↩
- 13
- Sulle insoddisfazioni riguardo agli aspetti istituzionali dello SEE, cf. la compilazione dodis.ch/C1886.↩
- 14
- Sulla decisione del Consiglio federale, cf. DDS 1991, doc. 44, dodis.ch/58388 e doc. 48, dodis.ch/57671.↩
- 15
- Sulle critiche del Presidente Cotti allo SEE, cf. le sue lettere al Consigliere federale Delamuraz del 28 marzo 1991, DDS 1991, doc. 9, dodis.ch/57510 e del 5 agosto 1991, dodis.ch/59790.↩
- 16
- Cf. DDS 1991, doc. 42, dodis.ch/57475.↩
- 17
- All’indomani della Giornata dell’Europa, il discorso del Presidente Cotti, percepito come filoeuropeo, fece reagire l’opinione pubblica svizzera sulla «europapolitische Orientierungslosigkeit des Bundesrats» (Der Bund). Secondo diversi media e anche secondo il verbale deliberativo II del Consiglio federale del 12 settembre 1991, dodis.ch/57760, il Consigliere federale Delamuraz si oppose al discorso «qui n’a souligné que les points négatifs du TEEE». Il comunicato pubblicato in seguito alla riunione del Consiglio federale dichiarava, su proposta del Consigliere federale Adolf Ogi: «Der Bundesrat betrachtet es als selbstverständlich, dass im Kollegium beim jetzigen Stand der Abklärungen unterschiedliche Meinungen vertreten werden, denn es repräsentiert die ganze Breite des Volkes» (dodis.ch/57760). Per i disaccordi sulla politica europea nel Consiglio federale, cf. anche DDS 1991, doc. 56, dodis.ch/58525, nota 24.↩
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700th anniversary of the Confederation (1991)
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