Questo articolo è stato redatto in francese dallo scrittore e pastore ginevrino Eduard Platzhoff-Lejeune ed è apparso originalmente sulla rivista letteraria di Ginevra «La Semaine Littéraire» (13 aprile 1912). In seguito è stato riproposto a puntate in traduzione italiana sul «Corriere del Ticino» di Lugano (3/4/6 maggio 1912) e su «Il Grigione Italiano» di Poschiavo (15/22/29 maggio 1912 e 26 giugno 1912).
dodis.ch/72785Traduzione di un articolo di giornale di Eduard Platzhoff-Lejeune1
II Contrabbando2
Togliamo questo studio dalla rivista ginevrina La Sémaine Littéraire, lasciando però a questo diffusissimo periodico l’intiera responsabilità delle idee espressevi:
Il Contrabbando è un fenomeno economico quanto sociale. E’ desso una protesta contro l’artifizio delle frontiere politiche: gli è quasi un fenomeno di solidarietà umana. Esso tende a ristabilire l’eguaglianza economica fra due popoli che, a cagione della differenza delle leggi, soffrono dell’ineguaglianza. Esso procura a colui che soffre il vantaggio di colui che gode. Vorrebbe estendere il regime di libertà economica ad un paese vicino che è protezionista ad oltranza, e ben si direbbe non essere altro il contrabbando che il libero scambio illegalmente praticato.
Rimaniamo dapprima dal lato puramente economico e impersonale della questione. Così considerato il contrabbando è un fenomeno scientifico che si produce necessariamente quando le derrate alimentari e gli oggetti di prima necessità diversificano di molto nelle regioni limitrofe. Esso si estende pure agli oggetti di lusso facilmente trasportabili e frequentemente richiesti. Più è grande la differenza di prezzo, più sarà intenso il contrabbando e più le misure di repressione saranno rigorose. Il contrabbando è favorito dal fatto che l’esportazione della mercanzia trasportata per contrabbando non incontra generalmente nessuna opposizione e si fa sotto gli occhi delle autorità che non hanno alcuna ragione per intervenire. Esso sarebbe ridotto a poca cosa se i due paesi interessati si accordassero intorno alla sorveglianza reciproca dell’importazione e dell’esportazione. Ma ciò non potrebbe farsi che se ciascuna delle due nazioni soffrisse nella medesima misura dell’importazione illecita di certi prodotti.
Generalmente questo non è il caso. Un paese protezionista è tale in ogni caso. Un paese più favorevole al libero scambio, pratica questo su tutta la linea e grava di diritti di entrata gli articoli stessi la cui importazione fosse per riuscirgli spiacevole. E’ errore il credere che la repressione energica del contrabbando possa restringerlo.
La repressione stimola l’imaginazione del contrabbandiere, si che le difficoltà incontrate gli fanno raddoppiare gli sforzi. Se una regione di frontiera gli è preclusa da una troppo stretta sorveglianza, si rivolge ad un’altra fino allora poco sfruttata. Ad ogni raffinatezza nella vigilanza, altra vi corrisponde inedita. Gli è materialmente impossibile sorvegliare tutta la frontiera in ogni stagione, soprattutto nelle regioni alpestri. E qualora un paese facesse il gigantesco sforzo di coprire tutta la sua frontiera di guardie, la spesa di simile sorveglianza sarebbe tale che il giuoco non francherebbe il dispendio.
Lo solo mezzo di diminuire il contrabbando non è di sorvegliare i confini col maggior rigore, ma abbassare i prezzi delle derrate, vale a dire diminuirla differenza di prezzo esistente presso le due nazioni vicine. Il paese che pensa poter essere soppresso o fortemente diminuito il contrabbando dalla repressione, è vittima della stessa illusione cui soggiace quegli che volesse impedire l’emancipazione pubblica collo spionaggio, la prigioni o altre misure di violenza.
Dalla teoria passiamo all’applicazione. Il contrabbando dalla Germania, dall’Austria, dalla Francia, dall’Italia in Svizzera è poca cosa: alcune stoffe, delle profumerie, dei prodotti farmaceutici, diversi articoli di lusso, ecco tutto. Il contrabbando dalla Svizzera in Francia, in Austria, in Germania, è maggiore; consiste nella cioccolatta, negli orologi, e nell’ineffabile saccarina che da alcuni anni ha dato un rinnovellamento d’attualità a questo capitolo. Il contrabbando è fortissimo dalla Svizzera in Italia lungo la frontiera vallesana, ticinese e grigione. E’ di esso che andrem parlando per illustrare il nostro dire e raccontare alcuni fatti divertenti e poco noti.
Prendiamo il prezzo di alcune derrate nei due paesi. Un kg. di zucchero costa in Isvizzera da 55 a 75 cent., in Italia da fr. 1.50 a 1.80; un litro di petrolio in Isvizzera da 25–30 cent., in Italia da 75 a 85 cent.; un kg. di caffè in Isvizzera si vende da 2 a 4 fr., in Italia da 4 a 5 fr.; un kg. Di saccarina in Isvizzera vale 250 fr., in Italia 600. E cì sono ancora la cioccolatta, il tabacco, la benzina, la guttaperca ecc.
In media si può dire che il prezzo di queste derrate è raddoppiato in Italia. Supponiamo che un contrabbandiere porti da 30 a 40 kg., che rivenda la mercanzia con un guandagno del 25 %, il suo viaggio gli dà un benefizio da 30 a 40 fr. al minimo, vale a dire il guadagno da due a tre settimane di lavoro in una sola notte.
Tenete ancora conto di questo dato che tal mestiere è fatto per piacere ad una razza inclinata alle avventure e alle astuzie, che adora il romanticismo e i suoi buoni banditi, che professa un gusto mediocre per il lavoro regolare sempre identico ed uniforme, e capirete allora come il contrabbando possa essere l’ideale del basso popolo in Italia, che il contrabbandiere goda quivi della gloriuzzia del generale e del martire che fa battere il cuore alle giovinette, mentre il gabelliere è odiato, disapprovato e paventatissimo.
Si indovina facilmente l’abisso sociale che esiste fra la spia pagata dallo Stato ed il contrabbandiere appoggiato dalla popolazione. Questa lotta dà luogo a degli episodi variati e pittoreschi, che gli interessati non espongono tanto volentieri in piena luce e la cui stranezza divertente merita che se ne parli.
Vi si sente battere l’anima del popolo e si penetra nella sua mentalità speciale, nel suo eroismo e nelle sue sconfitte.
Vediamo prima un po’ l’organizzazione degli uni e degli altri. Le guardie di finanza italiane rappresentano un’armata. Sopra una guardia svizzera ce ne sono circa dieci italiane. Lungo la nostra frontiera sono quasi tutte originarie di Napoli, della Calabria e della Sicilia. Si fanno venire dalle provincie lontane, prima di tutto perché questo mestiere di caccia all’uomo piace alle popolazioni meridionali e ripugna a quelle del nord che preferiscono il lavoro dell’industria; in seguito anche per evitare ogni comunità d’interessi, ogni contatto e solidarièta fra le guardie e la popolazione di frontiera indigena.
Le reclute del corpo di guardia fanno una parte del loro servizio militare sotto questa forma e sono militarmente organizzate nelle piccole caserme da 30 a 50 uomini. Essi non ricevono che pochi centesimi al giorno, mentre le guardie più attempate, che hanno capitolato per un certo numero d’anni, sono pagate circa 3 fr. al giorno, loccando così un trattamento inferiore della metà delle guardie svizzere.
ll servizio delle guardie italiane è anche più penoso. Hanno delle caserme nell’alta montagna, abitate tutto l’anno, e fanno giri di pattuglia tanto più pericolosi per essi, che non hanno mai visto nè la neve, nè le Alpi. Sono anche numerosi i casi di cadute mortali e d’altri accidenti. In estate si mandano sui ghiaccini, dove devono, a 3000 metri, dormire all’aperto, avvolti nelle loro pelli di montone e lontani da qualsiasi alloggio.
La caccia all’uomo è pure pericolosa, perchè il contrabbandiere è armato e conosce meglio il paese che il suo nemico. La consegna vuole che il contrabbandiere che abbandona la sua preda non sia più perseguitato, mentre colui che la porta seco, scappando, si espone a dei colpi di moschetto o ad una lotta disperata di coltello, che è sovente mortale,
Ma ci sono degli accomodamenti col re, come col cielo. Ci sono delle guardie che non hanno visto nulla al momento psicologico e questa miopia sparirebbe presto se fossero meglio pagate.
(Continua).
Il Contrabbando3
(continuazione, v. N. prec.)
L’organizzazione dei contrabbandieri è più interessante. Fra loro non ci sono svizzeri. Tutt’al più se ne trovano fra gli impresari. Non si deve immaginarsi che il contrabbandiere lavori per uno proprio conto. E’ semplice impiegato d’una ditta sociale, interessato ai benefici ed alle perdite.
Solo potrebbe bene comperare e trasportare la merce, ma avrebbe delle difficoltà a venderla; non basta, disgraziatamente, d’aver passata la frontiera per essere al sicuro. L’Italia domanda ai commercianti delle regioni finitime (e questo pezzo di territorio ha una cinquantina di chilometri di profondità) la giustificazione della provenienza delle merci vendute. Per mancanza di spiegazioni sufficienti il commerciante è considerato e punito come complice.
Per smericare la mercanzia, abbisognano dunque delle relazioni estese e dei raffinamenti di abilità di cui non dispone il povero contrabbandiere, il quale, benchè sappia usare la scaltrezza del bandito, non è abile a tenere la penna. Il padrone contrabbandiere abita naturalmente in Isvizzera, al riparo dalla polizia e dalle inchieste spiacevoli. Egli ostenta una professione qualunque e dirige il suo personale di liberi scambiatori e di esploratori, intascando i più grossi benefici e senza correre gran rischio.
La polizia che da lungo tempo lo conosce e lo tien d’occhio, gli mette le mani addosso, quando, di tanto in tanto passa la frontiera per aprire dei nuovi sbocchi o per regolare una dissenzione.
Poichè la Dogana italiana mantiene numerose spie in Isvizzera, che sorvegliano i fatti ed i gesti dei padroni contrabbandieri, le quali si abbassano fino a seguire la piccola clientela lombarda o piemontese, che fa le sue compere a Lugano od a Locarno, domandandone, al ritorno, i suoi conti, una volta passato il confine.
La Svizzera, avendo ammesso per convenzione la visita anticipata dei bagagli dei viaggiatori sui due laghi, la dogana italiana ha il diritto di mandare i suoi agenti ed i suoi ufficiali in uniforme ed in civile a Lugano e a Locarno. Non c’è da stupirsi allora ch’essa ne approfitti per tener d’occhio i modi d’agire dei contrabbandieri ricchi o poveri, sui quali essa possiede scritturazioni particolareggiate. Questi signori, sovente molto ben messi e disponendo di belle risorse, l’interessano molto più che nou le balle di tabacco, di zucchero e di caffè che passano la frontiera sui monti durante la notte.
Eppure vi assicuro ch’essa non trascura questi ultimi.
Seguiamo un po’ questi briganti moderni nelle loro peregrinazioni.
Carichi di balle, partono verso sera, chi in treno o in tram, chi in diligenza o in battello. Si fanno le provviste, il più vicino possibile alla frontiera; da questo appunto deriva il numero inquietante di drogherie fine nei villaggi svizzeri di confine. I commercianti guadagnano certamente più d’un milione all’anno col contrabbando; c’è dunque abbastanza profitto per essi d’essere Svizzeri.
All’ultimo ristorante si riposa e si beve una buona goccia. Poi il drappello comincia a salire, costeggia la frontiera per dei chilometri. Arrivato nelle regioni deserte esso si disperde. A piccoli gruppi, preceduti da un esploratore, penetrano sul territorio italiano ad una certa distanza gli uni dagli altri. Alcuni uomini portano grossi sacchi di paglia. Sono essi che, all’inseguimento fingono di essere stanchi, rallentano la corsa disperata, s’arrendono alle guardie che si gettano su di essi, si fermano e trattano, aspettando che i compagni si salvino e mettano il loro bottino in luogo sicuro.
Il contrabbandiere si limita generalmente a depositare la merce in un luogo convenuto. Degli altri ve la cercano, la rimballano in piccoli pacchi e la trasportano poco a poco Lieta e fiera la comitiva ritorna, a vuoto sotto il naso delle guardie, disposta a ricominciare l’indomani.
Mestiere terribile pieno d’imprevisti, sempre pericoloso. Non si possono immaginare le prodezze alpestri di questi gagliardi, soprattutto in inverno: prodezze che lascerebbero come in un sogno molti membri del C. A. S. L’alpinista è ardito, ma non imprudente; il contrabbandiere non ha che uno scopo: passare ad ogni costo, soprattutto quando il tempo è cattivo, non importa dove, ma più lontano, quanto possibile dalle guardie cioè nei luoghi inaccessibili, lontani dai sentieri battuti, seguendo la linea di frontiera piuttosto che il sentiero.
Quanti accidenti ogni anno, quanti uomini sepolti sotto la neve, sorpresi dalla valanga, ritrovati in primavera allo sciogliersi della neve, colle loro balle preziose! Ci vogliono persone forti e ruvide per questo mestiere, epperò la contrabbandiera non è un mito. Non ne ho trovate che in una sola valle, in quella di Canobbio, sul lago Maggiore presso Brissago. Questa vallata confina colla Svizzera presso il Ghiridone, unendo il Verbano a Domodossola. Le donne fanno i più ruvidi mestieri e portano carichi più pesanti.
E la madre di famiglia, quando il padre emigra periodicamente per alcuni mese, lo sostituisce non solamente per coltivare i campi e sorvegliare il bestiame, ma anche per frodare il re. Morto il marito, la vedova continua il mestiere ed i figli l’aiutano. Se ne è trovata una nella neve, ancora sul territorio svizzero, smarrita senza dubbio, esaurita, di forse, e che è caduta sul campo di battaglia. Povera martire d’un mestiere disonesto e che doveva servire a mantenere dei poveri figliuoli ancora in tenera età.
La guardia ed il contrabbandiere, benchè nemici, sono però i figli dello stesso popolo ed appartengono alla medesima classe sociale. E’ naturale, è umano che gli avversari, grazie al Governo, siano uniti qualche volta nella vita.
A Spruga, nella Val Onsernone, presso la frontiera di Craveggia, racconta Giovanni Anastasi nella sua graziosa «Vita Ticinese», i contrabbandieri bevono colle guardie di Vittorio Emanuele prima di partire. Poi si parte per la montagna e le guardie, che un momento prima brindavano alla salute dei compagni, cominciano la caccia agli uomini. In questo medesimo Spruga, per S. Silvestro, le ragazze del villaggio invitarono le guardie a ballare, pagando loro la cena ed il vino. E mentre le graziose Ticinesi dagli occhi di fuoco, ballavano un valzer coi piccoli Italiani neri delle Puglie o di Messina, gli uomini di Spruga, sotto il cielo freddo e splendente, trascinavano sulla neve dura centinaia di chili che entravano in franchigia nel Piemonte come per incanto.
Il buon tempo del contraddando è però passato. Il regno sa adesso meglio difendersi. Su 50 km. è tesa una rete metallica lungo la frontiera. Dei campanelli e sonerie elettriche segnano il passaggio degli intrusi attraverso la linea. Una scala di parecchie migliaia di piuoli e d’una pendenza dell’80 % una vera scala di Giacobbe, sale dal lago di Lugano fino al Belvedere di Lanzo.
Il contrabbandiere si è difeso come ha potuto. Ha praticato dei buchi nella rete; ha ammaestrati dei cani che saltano al disopra della rete col prezioso pacco al collo. Ma la rete fu rialzata ed i vandali arrestati. Che fare dei cani? Venivano preparati contro ogni uniforme die guardia. Dacchè il cane vede l’uomo dal kepi bordato di giallo della guardia delle finanze, si getta su di lui e lo morsica. Ma se almeno queste fossero tutte vere guardie! Perchè tante volte l’inimicizia regna nel corpo, generalmente così solidario dei contrabbandieri.
Recentemente una truppa di questi ultimi abbandonò il tutto vedendo spuntare delle guardie. Ma queste guardie erano colleghi travestiti, che impadronitisi della merce, cambiavano gli abiti sul posto e si davano alla fuga. Ci sono dunque delle false guardie come ci sono dei falsi contrabbandieri.
(Continua).
Il Contrabbando4
(continuazione, v. N. prec.)
Fin qui non abbiamo parlato che dei contrabbandieri che fuggono le guardie; ma ci sono anche quelli che le cercano. Codesti sono i più astuti. Rinunciando alle salite notturne sulle Alpi ed ai rompicolli delle giogaie dentellate, lungo le frontiere nazionali, preferiscono passare sulla strada maestra, passando davanti agli uffici di questi signori, scappellandoli. Si lasciano squadrare senza allungare il passo e sorridono apostrofando le guardie con un epiteto grazioso.
Talvolta questi signori si lasciano prendere la giuoco. Certamente il tempo in cui si passava colle tasche piene ed il ventre rimbalzante è passato. Il gran mantello genere Havelock non è piu atto e non ci sono che i principianti imprudenti che mettono i sigari nel cucuzzolo del loro cappello, perchè la loro amabilità medesima potrebbe tradirli.
Il trasporto della saccarina nel fondo d’un sacco di farina e d’un carro d’antracite è arrischiato, dacchè le guardie v’immettono la loro spranga di ferro per vedere se la punta s’imbianca. La dama stessa che indossa due gonne e tre sottane di seta si è vista fermare ed è stata invitata a giustificarsi davanti alla moglie della guardia. Si è a domandarsi quale metodo può ancora presentare qualche probabilità di successo.
Sentite piuttosto. A Ginevra un soldato svizzero che dimorava in territorio francese passava ogni mattina, equipaggiato alla dogana svizzera di Moillesulaz. Per molto tempo non si ebbe l’idea di aprire il suo sacco che era pieno di boccette e profumerie. Ma tanto va la gatta al lardo che vi lascia lo zampino. Alla dogana italiana questo giuoco sarebbe peraltro impossibile.
Non avete voi mai veduto dei bambini giuocare vicino alla frontiera? Essi l’attraversano non meno di cento volte al giorno e ogni volta essi prendono un pacchetto di 250 grammi di cioccolatta in Isvizzera. Ciò fa più di dodici kili al giorno e non è poco.
A Chiasso un povero infermo passava sovente, sempre le tasche e le mani vuote, trascinandosi a stento sulle stampelle. Queste erano cave, e ogni passaggio rappresentava l’entrata in contrabbando di 350 orologi. Codesta stampella ha trovato un posto d’onore allato al timone cavo, nel museo del contrabbando a Maddaloni, dove le giovani guardie sono addestrate alla scuola dei grandi contrabbandieri il cui genio inventivo deve stimolare il raffinamento nella scoperta del delitto.
Altrevolte, il contrabbando sui laghi Maggiore e di Lugano era semplicissimo. In barca si potevano costeggiare le sponde, nascondersi e tornare nelle acque svizzere dopo aver messo il proprio carico in luogo sicuro. Di notte, soprattutto, non si correva alcun pericolo. Ma ohimè! or sono dieci anni la dogana italiana ha inventato la così della torpediniera. E’ un piccolo battello a motore che, si dice, serviva una volta da torpediniera a Genova. Fra i due piccoli camini, si trova un potente riflettore il quale a due chilometri di distanza rischiara la riva sino nei più piccoli recessi. Sul cader della notte, la torpediniera si porta sulla linea ideale della frontiera presso Gandria sul lago di Lugano, vicino a Brissago sul lago Maggiore. In ogni stagione, qualunque tempo faccia, vi riman ferma incrocia lasciando scorrere il suo raggio luminoso lungo le rive: sull’acqua e sui monti. Se vede passare un uomo o una barca, dà il segnale ai due posti sulla sponda che fermano su terra o saltano nella loro barca per dargli la caccia. E rari sono coloro che sfuggono.
Vi sono giuristi che non ammettono che i riflettori d’uno Stato straniero perlustrino le rive svizzere e molestino gli abitanti dei nostri villaggi di frontiera. Altri constatano il carattere illegittimo di questo spionaggio immateriale che impedisce alla nostra brava gente di dormire.
Misteriosa coincidenza questa che l’apparizione della torpediniera abbia fatto scendere dal 40 al 20 % il dividendo della fabbrica di sigari a Brissago. E rari sono i contrabbandieri che passino il confine in barca, dacchè i remi vuoti pieni di saccarina sono segati dalle guardie e che le barche le quali sotto la chiglia avevano dei compartimenti impermeabili pieni di mercanzie sono tirate all’uopo su terra ferma e rivoltate dai difensori accorti del protezionismo italiano.
Gli è vero che la saccarina è un articolo di contrabbando ad un tempo sì minuscolo e prezioso che il più formidabile esercito di doganieri diventa impotente. In una tasca del panciotto o in un portamonete, il viaggiatore internazionale trafugherà abbastanza saccarina per ottenerne un guadagno da 20 a 30 franchi. Occorrerà egli frugarlo come la dogana italiana fa oggidì cogli operai a cui si grida: hands off per scandagliare il fondo delle loro tasche?
Ma gli è fare un torto grave all’industria dei forestieri che pregiano specialmente in Isvizzera il modo affabile dei ricevitori e che varcano tanto più facilmente i nostri confini. D’altra parte, in generale, l’Italia serba il suo rigore ai propri sudditi che non si scandalizzano punto sentendosi tutti qualche po’ colpevoli.
Il piccolo contrabbando non è invero riserbato al professionisti contrabbandieri. La gente per bene, il professore, il medico, il prete, si dorrebbero di varcare il confine senza frodare un poco il fisco la cui severità e le cui noie gravano su tutta la popolazione. Naturam furca expelles... dicevano i Romani.
Così è del contrabbando. Esso ha delle radici troppo profonde nella situazione economica del paese a nell’anima della popolazione perchè questo brigantaggio moderno possa essere arrestato oppure considerevolmente diminuito.
Senza dubbio, non si verserà sempre a Chiasso-svizzero del petrolio in un tubo di guttaperca sotterraneo per riceverlo in franchigia a Ponte-Chiasso italiano. Senza dubbio, il viaggiatore ben messo – una cassa di saccarina posta sotto la panchetta – non invitera più la signora seduta in faccia di lui a prendere il suo posto migliore.
I procedimenti ingenui scompaiono per far posto a metodi raffinati più pericolosi e più estesi. Al Gran San Bernardo, nella Valle de Bagnes a Gondo, a Zermatt e nel bacino dell’Alto Rodano nel Vallese, un po’ dappertutto nel Ticino e nello Stilfser Joch, lungo il parco nazionale nell’Engadina, nella valle di Poschiavo, nella Bregaglia e la Mesolcina nei Grigioni, il contrabbando si farà come s’è fatto, come si fa. L’Italia avrà un bel raddoppiare ancora la sua formidabile armata di guardie, essa non vedrà scomparire il flagello contro cui s’affanna, che il giorno in cui venderà le derrate coloniali a prezzi cristiani.
- 1
- Questo articolo è stato redatto in francese dallo scrittore e pastore ginevrino Eduard Platzhoff-Lejeune ed è apparso originalmente sulla rivista letteraria di Ginevra La Semaine Littéraire (13 aprile 1912). In seguito è stato riproposto a puntate in traduzione italiana sul Corriere del Ticino di Lugano (3/4/6 maggio 1912) e su Il Grigione Italiano di Poschiavo (15/22/29 maggio 1912 e 26 giugno 1912). La presente versione è tratta dal Corriere del Ticino.↩
- 2
- La prima parte dell’articolo è stata pubblicata sul Corriere del Ticino del 3 maggio 1912.↩
- 3
- La seconda parte dell’articolo è stata pubblicata sul Corriere del Ticino del 4 maggio 1912.↩
- 4
- La terza parte dell’articolo è stata pubblicata sul Corriere del Ticino del 6 maggio 1912.↩

